La DOMANDA di cibo è in crescita

Il settore agroalimentare sarà sempre più sotto pressione: bisognerà produrre molto più cibo per compensare la crescita della popolazione mondiale (+30% entro il 2050) e il continuo miglioramento degli standard di vita. Si tratta di una grossa opportunità di crescita per le nazioni leader in questo settore, ma allo stesso tempo una grande responsabilità da gestire.

L’IMPATTO ambientale da gestire: Sostenibilità, Circolarità e Biodiversità

L’impatto ambientale del settore agricolo/agroalimentare è immenso:

  • genera il 26% dei gas serra,
  • utilizza il 70% dell’acqua,
  • impegna il 50% del territorio abitabile,
  • genera il 78% dell’inquinamento di mari e corsi d’acqua.

Il grande dilemma dei nostri tempi è capire come ridurre questo impatto e allo stesso tempo aumentare la produzione alimentare.

La stessa Natura ci sta avvisando dell’urgenza di trovare nuove soluzioni: condizioni meteorologiche estreme – come tempeste, alluvioni, grandine, gelate, siccità o incremento delle temperature medie – stanno distruggendo colture, modificando i cicli di crescita di piante e animali, facilitando la diffusione di malattie e infestanti (vedi xylella), causando la desertificazione del territorio.

Italia = Nazione Agrifood di ECCELLENZA

L’Italia può avere un ruolo significativo in questa trasformazione, per dimensione del settore e per alcune sue caratteristiche uniche:

Ma in Italia, così come sta avvenendo soprattutto in Sud Europa, l’impatto dei cambiamenti climatici sta minacciando seriamente produttività e autosufficienza alimentare. Innovare è diventata quindi una strategia indispensabile, oltre che una opportunità per incrementare l’export.

La SFIDA dell’Innovazione agroalimentare in Italia

L’innovazione dipende fortemente da tecnologia, automazione, digitalizzazione ed energia sostenibile – elementi purtroppo ancora non sufficientemente integrati nell’agricoltura italiana. Probabilmente manca consapevolezza su opportunità, competenze, soluzioni e nuovi modelli di business che possano accelerare la trasformazione dell’intera filiera.
La transizione è ulteriormente rallentata dalla frammentazione: la maggior parte dei produttori sono piccole aziende familiari e buona parte dell’industria di trasformazione e distribuzione opera prevalentemente su scala locale o regionale. Questo rende più complicato pianificare e armonizzare produzione, evitare sovra-produzione o spreco alimentare, e allocare le risorse finanziarie necessarie per investire nel cambiamento.

Il valore strategico dell’industria agroalimentare è altissimo: per questo sono disponibili molti fondi pubblici comunitari e nazionali che è possibile combinare con finanziamento privato per supportare investimenti in nuove attività o trasformazione di attività esistenti (finanziamenti a fondo perduto o agevolati, partecipazione diretta nel capitale d’impresa).

Quindi, la vera sfida è definire progetti e business plan sostenibili e convincenti per i finanziatori, focalizzare partnership complementari da produttore a consumatore, e coordinare le iniziative.

Come guidare al meglio questa transizione e garantire che gli investimenti si trasformino in risultati tangibili?

Una possibile RICETTA?

Io credo che nel settore agroalimentare occorra replicare ciò che è avvenuto in altri settori che hanno già gestito con successo la propria trasformazione: ogni nuovo progetto dovrebbe partire coinvolgendo più attori complementari della filiera, in grado di garantire sia qualità di prodotto/processo che ritorno economico dell’investimento (costi di produzione, prezzi di vendita).
Questo si traduce nel coinvolgere non solo chi fa produzione e trasformazione agricola, ma anche chi distribuisce prodotti sul mercato e chi fornisce componenti importanti come energia ed elettrificazione, materie prime, macchine, nuove tecnologie digitali e dati.

Il settore agroalimentare è molto complesso – ha forse più variabili del settore aerospaziale! – ed è molto importante visto l’impatto diretto su salute, qualità di vita, preservazione e sostenibilità ambientale, e autosufficienza alimentare locale – un aspetto particolarmente sentito in situazioni di crisi economica o di emergenze sanitarie inaspettate come quella tuttora in corso.

Basarsi solo su tradizioni o esperienza non basta più ma occorre farsi supportare anche da tecnologie avanzate, fino all’intelligenza artificiale.
Oltre che produrre in qualità bisogna “dimostrare” al mercato di averlo fatto e tutelare il valore del cibo “made-in-Italy”: come farlo se non introducendo strumenti imparziali di monitoraggio e tracciabilità offerti anche in questo caso dalle nuove tecnologie?
Non ultimo, rendere accessibili competenze e tecnologie servirà ad attrarre sempre più giovani e generare molti nuovi posti di lavoro distribuiti sul territorio.

Spero di aver contribuito a evidenziare la grande opportunità che abbiamo dinanzi.
Siete interessati a sviluppare progetti sostenibili e accattivanti per nuovi investitori della new green economy? Se sì sentiamoci perché forse potremmo collaborare.

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